LETTERA PER IL 153° ANNIVERSARIO
Don Liborio,
Patù, estremo avamposto della Terra d’Otranto che le ha dato i natali, è oggi insolitamente silenziosa e deserta, ma nella sua casa, Palazzo Romano, c’è fermento per la presentazione di un libro in cui si parla anche di lei. Un noto storico, nel suo ultimo lavoro, si interroga sugli illustri figli del Salento che hanno combattuto per la realizzazione del sogno, ma anche vissuto le disillusioni del disegno dell’Italia unita.
Negli angusti ambienti della sua dimora, don Liborio, si parla del Duca di Morciano e Marchese di Cavallino, l’archeologo e letterato che capì l’importanza dei collegamenti ferroviari che da Bari dovevano giungere fino a Gagliano del Capo, che lottò per la liberalizzazione delle coltivazioni del tabacco e l’abolizione delle decime.
Del carismatico massone del terzo partito, l’elettore di deputati, moderato repubblicano biasimato dagli stessi amici mazziniani per il comportamento altalenante fra l’elezione e l’accettazione della deputazione, nonché i favoreggiamenti dei deputati della sinistra.
Poi dell’autore del codice di procedura civile del 1865, di Tricase, rappresentante di Terra d’Otranto nel parlamento napoletano in occasione dei moti rivoluzionari del 1848, ministro di Grazia e Giustizia nel Regno delle 2 Sicilie di Garibaldi, ministro più volte e deputato dall’unità al 1873.
E ancora, del magistrato repubblicano di Maglie, consigliere di Corte d’Appello, prima mazziniano,vittima della repressione borbonica del 1848, poi nella destra storica.
Del magistrato filosofo di Gallipoli, il Kant italiano, il pastore protestante di estrema sinistra.
Poi del liberale di sinistra, a lei vicinissimo, che voleva trasporti, strade, ferrovie, innovazioni in agricoltura, origine dell’economia del sud.
Di suo fratello Giuseppe che, continuò il suo impegno fino agli anni 90, vivendo l’inizio della stagione delle riforme, anche della scuola, che era in condizioni spaventose nel Regno di Napoli.
E di lei, senza dileggiarla, e come sarebbe possibile farlo di fronte a tanti trasformisti, mettendo finalmente in evidenza il grosso lavoro svolto, neanche tanto nel poco tempo in Parlamento, quanto nelle fasi preparatorie dell’unità e nel ruolo di testimone super partes di quanto era necessario capire della sua terra.
Sii parla anche di tanti altri, compresi i delusi dei moti di ribellione, del Viva Francesco II, del popolo istigato dal clero di Roma a contestare il nuovo sistema. Degli sbandati, dei soldati dell’ex impero borbonico che lei suggerì di assorbire nel nuovo esercito, mentre Cavour ascoltò il pessimo consigliere Nigra, favorendo i fenomeni del banditismo e della ribellione. Sono qui anche i noti banditi da Parabita, Alliste ed Alezio, e i finanziati dalla Curia di Ugento.
Oggi riprendono voce i deputati delusi in Parlamento dal blocco di potere del nord, che a loro dire, avrebbe ostacolato i progetti di legge del sud. Ma analizzando questa panoramica di sbandamenti e schieramenti cosa avrebbero potuto suggerire ai colleghi del nord, se non una disarmonia di gente ed obiettivi che, pur se originati da un comune fervore del 1848, che infuocò pure lei, hanno poi preso strade e personalismi che non potevano certo giovare alla questione del Mezzogiorno, non certo un monolite coeso e determinato. Questa sorta di convention di protagonisti, tutte persone di sua conoscenza e frequentazione, pure fraterna, è anche un trionfo di quanto da lei presagito. A differenza di quel triste giorno di 153 anni fa, in cui lei se ne andò, solo, oggi sono tanti qui al suo cospetto, a mostrarsi e ad evidenziare la fondatezza delle intuizioni, la lucidità delle sue analisi, in una sorta di riscatto di tante amarezze. Soprattutto a suggerire ai posteri che ripetere le stesse logiche e ricalcare le orme del passato, senza la consapevolezza di dover operare per una causa comune, non potrà far altro che lasciare il sud vittima di una pessima mentalità e di un conseguente inevitabile destino.
Morena Calzolari
17 luglio 2020 |