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Articolo giornalistico dedicato a Don Liborio Romano, raccolto da Giovanni Spano

Titolo: LIBORIO ROMANO

Rocco Margiotta di Tiggiano (Lecce)

Liborio Romano

 

Non sarà certamente il sottoscritto a delineare l’azione politica di Liborio Romano negli anni concitati della conquista e dell’annessione del Regno delle Due Sicilie a quello di Sardegna di Vittorio Emanuele II.

Non possiedo documenti di prima mano.

Lascio ai ricercatori scovarli e renderli pubblici affinché la storia d’Italia e del nostro meridione diventi più chiara ed ufficialmente vera, togliendole la patina della leggenda, dei personaggi eroici; affinché si capiscano meglio gli intrighi personali, nazionali ed internazionali.

Tutti sappiamo della sua opposizione antiborbonica durante la residenza e la docenza a Napoli.

Docente di Diritto Civile e Commerciale all’Università partenopea, si inserì negli ambienti carbonari napoletani e nei moti del 1820 venne fatto prigioniero, destituito dall’insegnamento, inviato al confino e poi in esilio. Nel 1848 si trovava di nuovo a Napoli. Aveva già l’età di 55 anni. Ferdinando II di Borbone fu costretto a concedere la Costituzione, pare che per la sua preparazione diede il contributo anche Liborio.

I moti napoletani fallirono e il Romano venne di nuovo imprigionato. Egli fece istanza al Ministro di Polizia di commutargli la pena dalla prigione all’esilio che gli fu concesso. Romano risiedette a Montpellier dal 4 febbraio 1852 al 25 giugno 1854.

Mentre il Regno delle due Sicilie barcollava sotto l’azione galoppante di Garibaldi e nonostante le sue idee antiborboniche, accettò da parte del Re Francesco II Prefetto di Polizia. Il 14 luglio dello stesso anno divenne anche Ministro dell’interno.

 

La cronistoria è la fase didascalica degli avvenimenti che ebbero come protagonista Liborio Romano.

Oggi ci si chiede come mai Il re borbonico chiamò un nemico a capeggiare il Ministero di Polizia e poi quello dell’Interno. I monarchi e non solo hanno sempre potuto eliminare i loro avversari politici. Francesco II invece premia il Romano suo antagonista conferendogli due importantissimi incarichi di governo. A quali patteggiamenti segreti giunsero i due. Su quali prospettive siglarono gli accordi da nemici quali erano sin dal 1820? Possiamo immaginare che il monarca, attraverso i suoi consiglieri, aveva intuito che solo il Romano avrebbe potuto sbrigliarli la grovigliata matassa che si stava confezionando.

Il re per tentare con ogni mezzo di conservare il trono si rivolse ad un vecchio nemico, ad un carbonaro, ad un astuto uomo, ad un docente di diritto Civile e Commerciale. I calcoli del re potevano corrispondere ai suoi disegni; gli importava conservare il Regno a qualsiasi costo. Francesco II imbelle ed incapace di tenere in pugno la situazione si rivolse al vecchio nemico per essere illuminato e sostenuto.

Mentre l’esercito borbonico risaliva da sud, Liborio Romano intavolava trattative segrete con Cavour e Garibaldi per annettere il Regno delle due Sicilie a quello di Sardegna.

Intanto Vittorio Emanuele II condannava l’impresa dei Mille.

Liborio Romano propose al re Francesco II che il suo Regno si federasse con gli altri Stati italiani, ma egli rifiutò.

Nonostante le vicende politiche si distesero lungo l’asse istituzionale voluto da Cavour e proprio per questo, in tutto il Meridione inizio quel fenomeno, difficilmente riferibile che viene definito, generalmente “Brigantaggio”.

Per combattere il quale e sterminarlo Cavour inviò nel sud l’esercito piemontese alla testa del generale Cialdini.

Quello che accadde non può essere compreso in questo sottilissimo contributo.

Dopo essere stati scritti centinaia di libri, la verità è ancora chiusa negli armadi degli Archivi di Stato.

Vista la piega che prendevano gli avvenimenti Romano spinse l’ultimo Borbone a rifugiarsi a Gaeta senza opporre resistenza e per evitare delle sommosse popolari.

Il 7 settembre 1860 ricevette Garibaldi, giunto a Napoli in treno e senza scorta, senza contrasti, osannato da manifestazioni di piazza. Il Romano non poteva fare a meno della camorra napoletana: “in virtù della sua organizzazione e del suo potere di controllo territoriale”. Affidò al capo della camorra il compito di mantenere l’ordine pubblico e di favorir e l’ingresso in città di Garibaldi. Invitò i camorristi a d arruolarsi nella “Guardia cittadina”, in cambio dell’amnistia incondizionata e di uno stipendio governativo. Il 21 ottobre il capo camorrista e i suoi adepti ebbero anche l’incarico di vigilare sul plebiscito di annessione. I camorristi divennero i veri e spavaldi padroni della città.

Garibaldi per i servigi resigli dal Romano lo confermò Ministro dell’interno sino al 24 settembre 1860, quando fece parte del Consiglio di Luogotenenza sino al 12 marzo 1861.

Nel gennaio 1861 si tennero le prime elezioni politiche e Romano venne eletto deputato, vincendo in otto diverse circoscrizioni.

La sua carriera parlamentare terminò il 25 luglio 1865.

Si ritirò a Patu’. Morì il 17 luglio 1867, sepolto nella cappella di famiglia.

Da docente di Diritto civile e Commerciale all’Università di Napoli, Romano godeva di larga fama e la sua adesione al partito antiborbonico era autentico.

Strano però, egli, figlio di una famiglia salentina nobile e benestante, che si fosse schierato contro lo strapotere dei Borboni.

C’era qualcosa che gli illuminava la mente, qualcosa che, come altri, che in tutta Italia si organizzavano in società segrete per abbattere i vecchi regimi italiani ed europei, specialmente dopo le rivoluzioni del 1848.

Mirava a qualcosa di più importante nel settore degli studi, mirava a guidare un futuro stato, diverso, dal secolare regno borbonico?

Aveva solo interessi di progressione di carriera universitaria e politica o anche altri interessi.

Noi propendiamo per entrambi, anzi per molti altri che a catena avrebbero potuto favorirlo.

Non è escluso che figlio di famiglia nobile e latifondista mirasse ad estendere il suo potere anche nella sua Patù e nel Salento in generale.

Le ambizioni potevano essere tante.

Le giravolte che ebbe a compiere furono davvero strabilianti; da antiborbonico si trova nominato ministro di polizia da un Borbone che aveva combattuto se non con le armi con la propaganda universitaria ed altro.

Stabilisce un patto con la camorra napoletana affinché mantenesse l’ordine pubblico.

Accoglie Garibaldi con gli onori più stucchevoli.

Spera che Garibaldi che sarebbe stato il “dittatore” temporaneo dell’ex Regno delle Due Sicilie, per ottenere dallo stesso gli onori e la gloria sperata.

I piani di Cavour e di Vittorio Emanuele II erano diversi però, per cui; Garibaldi dovette cedere alla minaccia di una guerra piemontese-garibaldina, con la certezza che questa volta sarebbe stato sconfitto, Liborio vedeva cadere il suo castello di sabbia.

Pur essendo stato nominato luogotenente da Garibaldi ed eletto deputato nelle elezioni del 1861, La carriera sperata si interruppe d’improvviso.

Liborio non ottenne la gloria alla quale tendeva, non ottenne promozioni, non ottenne per la sua nobile famiglia privilegio alcuno.

Il mio pensiero personalissimo, non documentato, ma frutto della mia razionalità, è quelle che Liborio, essendo un salentino del Salento dei bassifondi, dell’ignoranza, dell’analfabetismo, della pervicace sottomissione che i cafoni dovevano ai latifondisti locali com’era la sua famiglia, pensava di poter trasferire le sue stesse potenzialità nelle vicende del 1861. Era un personaggio molto supponente, molto e presuntuoso insieme alla docenza di Diritto, credeva di poter divenire un protagonista della storia d’Italia.

Si è macchiato invece di crimini orrendi, non solo nella sua Patù, frustrando i poveri cafoni, come facevano tutti i latifondisti e possidenti, ricorrendo alla becera usanza di prendere per fame i poveri derelitti cafoni. Non gli riuscì lo stesso gioco a Napoli, dove la Camorra lo condizionò tanto che dovette concedere onori e comando alla stessa.

Avendo intrattenuto trattative segrete con Cavour non lo solleva dalle responsabilità di aver manipolato la situazione che si creava a Napoli con l’arrivo di Garibaldi, al quale si sottometteva per ottenere favori, come fece con Cavour e di conseguenza con il Re Vittorio Emanuele II.

Il Romano era nello stesso tempo manipolatore e mistificatore della realtà che si veniva sviluppando.

Si schierò col diavolo e con l’acqua santa, pur di galleggiare.

La sua sopravvivenza politica fu molto breve.

Dovette tornarsene nella sua poverissima Patù, dove i cafoni lo accolsero con tutti gli onori, ignari di ciò che avesse combinato a Napoli, durante la prima formazione del Regno d’Italia.

Lo ritengo per questo anche responsabile del fenomeno del brigantaggio, suscitato direttamente o indirettamente dalla sua posizione occupata come ministro di polizia, vice di Garibaldi ed eletto come rappresentane del Regno.

La carriera politica di Liborio Romano è stata deturpata dalle giravolte che le ambizioni personali e le circostanze storiche lo convinsero che doveva compiere, ma non gliene venne un gran bene.

La storia lo ha bocciato.

Gli storici locali sono sulla stessa orizzontalità.

Ci sono ancora alcuni nostalgici, nella sua stessa Patù, come vi sono nostalgici del regno dei Borboni, il Regno delle due Sicilie.

Questa è una querelle che ha bisogno di molto esame prima di chiuderla, se è ancora aperta e dibattuta.

 

NOTE BIBLIOGRAFICHE DI APPROFONDIMENTO DEL PERSONAGGIO

La giovinezza e l’attività antiborbonica

Figlio primogenito di una nobile e antica famiglia, studiò dapprima a Lecce e poi, giovanissimo, prese la laurea in giurisprudenza a Napoli e ottenne subito la cattedra di Diritto Civile e Commerciale all'Università partenopea.

S'impegnò presto nella politica, frequentando ambienti carbonari e abbracciò quindi gli ideali del Risorgimento italiano.

Nel 1820 prese parte ai moti, per cui venne destituito dall'insegnamento, imprigionato per un breve tempo e poi inviato prima al confino e poi in esilio all'estero.

Nel 1848 tornò a Napoli e partecipò agli avvenimenti che condussero alla concessione della costituzione da parte del re Ferdinando II di Borbone.

Ma il 15 maggio 1848, dopo il sangue versato a Napoli nei moti liberali che avevano risentito di una certa improvvisazione, Romano fu nuovamente imprigionato. Egli chiese quindi al ministro di polizia la commutazione della pena della detenzione in quella dell'esilio. La sua richiesta venne accolta. Romano dovette perciò risiedere in Francia, a (Montpellier e poi a Parigi), dal 4 febbraio 1852 al 25 giugno 1854.

Ministro del regno delle due Sicilie e i contatti con la camorra. 

Nonostante le sue idee, nel 1860, mentre con la spedizione dei Mille si apriva la fase finale del regno delle Due Sicilie, Liborio Romano venne nominato dal re Francesco II prefetto di Polizia.

Il 14 luglio dello stesso anno il Romano divenne anche ministro dell'interno e direttore di polizia. In tale difficile fase, mentre l'Esercito meridionale cominciava a risalire la penisola, Romano iniziò a prendere contatti segreti con Camillo Benso conte di Cavour e con Giuseppe Garibaldi per favorire il passaggio del Mezzogiorno dai Borbone ai Savoia.

Fu lo stesso Liborio Romano a spingere il re Francesco II di Borbone a lasciare Napoli alla volta di Gaeta senza opporre resistenza, per evitare sommosse e perdite di vite umane. Il giorno dopo, il 7 settembre 1860, andò a ricevere Giuseppe Garibaldi, che giungeva a Napoli quasi senza scorta, direttamente in treno, senza che vi fosse alcun tipo di contrasto e accolto da festeggiamenti di piazza[1].

 

L'ingresso di Garibaldi a Napoli, il 7 settembre 1860, nell'attuale Piazza 7 settembre.

Risale anche a questo periodo il suo coinvolgimento con la camorra napoletana, «in virtù della sua organizzazione e del suo potere di controllo territoriale»[2]. Il Romano, infatti, nonostante il suo ruolo, assegnò al capo indiscusso della camorra di allora, tal Salvatore De Crescenzo[3] detto “Tore ‘e Crescienzo” e ai suoi affiliati, il compito del mantenimento dell'ordine pubblico nella capitale e di favorire l'ingresso in città di Garibaldi[4], invitandoli ad entrare nella "Guardia cittadina", in cambio dell'amnistia incondizionata, di uno stipendio governativo e un "ruolo" pubblicamente riconosciuto[5]. Eventi che portarono il De Crescenzo ad essere considerato come "il più potente dei camorristi"[6].

Così scriveva nel 1868 lo storico Giacinto De Sivo: «La rivoltura del '60 si dirà de' Camorristi, perché da questi goduta. [...] Il Comitato d'Ordine comandò s'abbattessero i Commissariati di polizia; e die' anzi prescritte le ore da durare il disordine. Camorristi e baldracche con coltelli, stochi, pistole e fucili correan le vie gridando Italia, Vittorio e Garibaldi […]. Seguitavanli monelli e paltonieri, per buscar qualcosa, gridando: Mora la polizia! Assalgono i Commissariati»[7].

In divisa, armati e con coccarda rossa, il De Crescenzo e i suoi uomini ebbero anche l'incarico di supervisionare il plebiscito di annessione, vigilando le urne a voto palese (21 ottobre 1860)[8]. Secondo la testimonianza di Giuseppe Buttà, cappellano militare dell'esercito borbonico, «Dopo il Plebiscito, le violenze de' camorristi e dei garibaldini non ebbero più limiti: la gente onesta e pacifica non era più sicura né delle sue sostanze, né della vita, né dell'ordine […]. I camorristi padroni di ogni cosa viaggiavano gratis sulle ferrovie allora dello Stato, recando la corruzione e lo spavento nei paesi vicini.»[9].

Scriveva, a tal proposito, lo stesso Romano nelle sue Memorie: «Fra tutti gli espedienti che si offrivano alla mia mente agitata per la gravezza del caso, un solo parsemi, se non di certa, almeno probabile riuscita; e lo tentai. Pensai prevenire le tristi opere dei camorristi, offrendo ai più influenti loro capi un mezzo di riabilitarsi; e così parsemi toglierli al partito del disordine, o almeno paralizzarne le tristi tendenze»[10]. Fu creata, così, una «specie di guardia di pubblica sicurezza», tra i suoi membri c'erano i camorristi organizzati in compagnie e pattuglie, per controllare tutti i quartieri della capitale[11][12].

Deputato e ministro del regno d’Italia

Romano ottenne da Garibaldi la conferma nel ruolo di ministro dell'Interno che tenne quindi fino al 24 settembre 1860, data in cui entrò a far parte del Consiglio di Luogotenenza, ove rimase fino al 12 marzo 1861.

Nel gennaio 1861 si tennero le prime elezioni politiche per il costituendo Regno d'Italia, e Liborio Romano venne eletto deputato, vincendo in otto diverse circoscrizioni.

La sua esperienza parlamentare ebbe fine il 25 luglio 1865 e Romano si ritirò nella sua terra d'origine ove rimase fino alla morte, avvenuta il 17 luglio 1867 nella natia Patù, dove riposa, nella cappella di famiglia di fronte al Palazzo Reale.  

Articolo letto 644 volte

Autore: Rocco Margiotta

Data di pubblicazione: 31/01/2018

Testata: Veretum concorso letterario 2017

 
 
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