PERSONAGGI DEL RISORGIMENTO
di Maurizio Nocera
LIBORIO ROMANO
Figura ambigua e controversa per alcuni, salvatore della patria per altri.
Sembra proprio difficile togliere dalla mente della gente, soprattutto qui nel Meridione, l'idea che Liborio Romano (Patù, 27 ottobre 1793 - 17 luglio 1867) sia stato un personaggio voltagabbana (trasformista) e traditore di più patrie.
Sono stati , e tuttora continuano a farlo, i borbonici e i neoborbonici a propalare tale idea e, come si sa, lo fanno non per nobili motivi, ma semplicemente perchè contrari a tutto ciò che significa patria, valori patriottici, ideali di condivisione popolare e, in ultima analisi, tutto ciò che significa Unità d'Italia, che sia chiaro, quella realizzata nel 1861 non fu quell'Unità per la quale i risorgimentalisti repubblicani e socialisti lottarono, ma un compromesso monarchico a sfavore del Sud. Noi stessi oggi critichiamo il comportamento colonialista e predatore di Casa Savoia e lottiamo perché venga riaffermato il concetto che il Mezzogiorno d'Italia non è mai stato una palla al piede dello sviluppo economico della nazione, piuttosto occorre dire che fu la borghesia del Nord e l'aristocrazia sabauda ed ex borbonica che, depredandolo di non poche ricchezze, l'hanno tenuto in un continuo stato di soggezione. Liborio Romano, docente di Diritto civile e commerciale all'Università degli Studi di Napoli, fu in primo luogo un risorgimentalista della prima ora. Si conosce la sua partecipazione ai moti insurrezionali a partire dal 1820 fino ad arrivare a quelli della vigilia della cacciata dei Borbone da Napoli. Egli fu tenuto sotto osservazione per decenni e fu più volte imprigionato nelle carceri borboniche, più volte confinato e, in alcuni periodi, dovette riparare in Francia per evitare pericoli maggiori per la sua vita.
Sul piano professionale, poichè fu uno degli avvocati più rinomati del foro partenopeo, Romano difese non pochi malavitosi, fra i quali anche degli appartenenti alla camorra. Per questo suo ufficio, il suo nome fu spesso associato alla criminalità campana ma, anche in questo caso, egli fece solo il suo dovere d'avvocato. La sua conoscenza del mondo criminale napoletano, nel momento in cui le cose andavano precipitando e la monarchia borbonica stava per essere abbattuta, in un ultimo tentativo di salvare il salvabile, il re delle Due Sicilie, Francesco II di Borbone, e la sua corte, nonostante conoscessero le idee politiche del Nostro, anzi proprio per questo, agli inizi del 1860, con Garibaldi che era già partito da Quarto con i Mille, gli affidarono la direzione della Polizia e, il 14 luglio dello stesso anno, anche il Ministero dell'interno. E' stato proprio in qualità di tali incarichi che il Romano ebbe l'opportunità di conoscere più da vicino e dall'interno la camorra napoletana, una delle organizzazioni criminali più pericolose e allo stesso tempo più radicata nel territorio per cui, quando si trattò di impedire un ulteriore spargimento di sangue, non tentennò nel coinvolgere tale organizzazione nel mantenimento dell'ordine pubblico nella capitale. D'altronde cosa era rimasto da fare al govemo dei Borbone, non avendo più un esercito che tal si dicesse e men che meno aveva la disponibilità di un apparato poliziesco. Tutti gli apparati governativi si erano disentegrati e Napoli rischiava di subire uno dei genocidi più pesanti della sua millenaria storia. In quel momento drammatico, tutta l'Europa sapeva già come sarebbe andata a finire quella campagna di moti insurrezionali nella penisola, con Garibaldi che, dopo essere sbarcato in Sicilia, stava risalendo vittorioso le regioni meridionali. Non c'era più nulla da salvare dell'antico regime, per cui Liborio Romano cercò di salvare il salvabile, soprattutto la popolazione civile e i beni materiali e immateriali del regno attraverso non una resa incondizionata a Cavour ma un patto dignitoso per il Sud. È noto che fu lo stesso Romano, in quanto ministro del regno delle Due Sicilie, a consigliare Francesco II di Borbone a lasciare Napoli e riparare a Gaeta prima dell'ingresso a Napoli di Garibaldi il quale, il 7 settembre 1860, entrò in città ricevuto proprio dal ministro Romano. La storia ci dice che l' Eroe dei Due Mondi entrò trionfalmente a Napoli con i suoi 28 ufficiali, ma avendo al fianco la moglie del risorgimentalista salernitano Nicola Ferretti e la rivoluzionaria mazziniana gallipolina Antonietta de Pace. Oggi si dibatte ancora su quanto e di che tipo fu il coinvolgimento della camorra da parte del ministro dell'Interno Liborio Romano. Tuttavia, aldilà della pericolosità del patto Romano-De Crescenzo (capo dei camorristi), che va sempre criticato, è da costatare che effettivamente a Napoli non ci furono moti popolari, né vendette, né le migliaia di morti ammazzati previsti, e perfino lo stesso re, con l'intera famiglia e il resto della corte, se ne andarono a Gaeta, vale a dire a poche decine di chilometri dalla capitale, con un corteo regale che nessuno osò toccare.
Vale proprio la pena di considerare oggi come finì il regno borbonico delle Due Sicilie a confronto con le conclusioni delle tante guerre del Novecento, dove abbiamo assistito (assistiamo ancora) alle più immonde atrocità, commesse da mercenari senza patria e senza ideali e nel disprezzo di qualsiasi convenzione internazionale. Certo, occorre considerare il fatto che, dopo la fuga da Napoli di Francesco II, e nel turbinio dei nuovi poteri connessi all' annessione del Sud allo Staterello sabaudo, non tutto fu rispettato come concordato da Liborio Romano col Cavour (per colpa di quest'ultimo e di Vittorio Emanuele II, che continuò ad essere re di uno Stato che non era quello unitario), per cui, proprio nelle regioni meridionali si innervò il fenomeno del brigantaggio, che non va considerato come una dannazione di questa parte del Paese, ma come una conseguenza inevitabile dello scombussolamento post-risorgimentale. Anzi occorre dire che l'annessione alla Casa Savoia senza il rispetto di quelle condizioni poste dal Romano, significarono il tradimento di tante lotte e di tanti sacrifici che i risorgimentalisti mazziniani e garibaldini avevano condotto sin dal 1799, anno della rivoluzione partenopea.
Che dire ancora di Liborio Romano, quando verifichiamo oggi che egli, tutto sommato, non fu affatto quel "maledetto" ministro di cui i neo borbonici hanno cianciato e cianciano tanto? La storia ci dice che egli fu confermato allo stesso ministero da Garibaldi e che, alle elezioni politiche unitarie del gennaio 1861, fu eletto deputato in otto diverse circoscrizioni. Il popolo napoletano non dimenticò mai che Liborio Romano, in un momento drammatico della capitale, salvò il salvabile; per questo lo elesse deputato fino al 1865. Il 25 luglio di quello stesso anno, don Libò (così lo chiamava il popolo di Napoli e di Patù) si ritirò dalla vita politica e ritornò al suo paesello, dove visse ancora per qualche altro anno.
Ma a proposito di giudizi politici, per me vale soprattutto quello che su Liborio Romano hanno espresso due valenti cattedratici. Il primo è Nico Perrone, per anni docente di Storia contemporanea e di Scienze Politiche all'Università degli Studi di Bari il quale, per primo, nell' ambito di quell' alta istituzione, non ebbe remore ad affermare che Liborio Romano va inserito a tutti gli effetti nel panorama del Risorgimento italiano, Egli è autore del libro L'inventore del trasformismo, Liborio Romano, strumento di Cavour per la conquista di Napoli (Rubettino editore, 2009), Il secondo cattedratico è il galatinese Giancarlo Vallone, ordinario di Storia delle Istituzioni Politiche presso l'Università del Salento (autore del volume Dalla setta al governo. Liborio Romano, Jovene editore) il quale, anch'egli, nell'introduzione al libro di Liborio Romano, Scritti politici minori (sua cura, Lecce, Centro Studi Salentini, 2005), scrive: «Si tratta anzitutto di restituire Romano al suo ruolo vero nel Risorgimento del Mezzogiorno continentale, del quale egli, nel Sessanta [1860], è certamente il maggiore protagonista, dopo Garibaldi e Cavour» (p, VII).
Come si vede non si tratta di due giudizi improvvisati e magari di persone sprovvedute, ma di due straordinari esperti del settore che, prima di scrivere una riga ci pensano e riflettono sulla base di approfonditi studi, E a questi giudizi di eminenti storici, non va sottaciuta la passione di Giovanni Spano di Patù, fondatore dell' Associazione culturale intitolata al suo illustre compaesano, associazione che si prefigge l'obiettivo «di rivalutare la figura di don Liborio attraverso lo studio della storia e delle tradizioni di Patù, del Salento e del Sud... Anche lo studioso tricasino Francesco Accogli ha dedicato un volume al Personaggio Liborio Romano (ll laboratorio editore, Parabita)
maggio/giugno 2014 Il filo di Aracne 9 |