Piccole grandi storie: il ristoratore di Patù e il ministro "camorrista"
02:18 PM, Aug. 24, 2006 .. Inviato inPiccoli comuni .. 0 commenti .. 0 trackbacks .. Link
Nella storia del ristoratore meridionalista ci s'imbatte dopo che dalla litoranea jonica tra Gallipoli e Santa Maria di Leuca si svicola verso l’entroterra. Patù. Uno dice: andiamo a vedere com’è fatta Patù e magari scopriamo perché si chiama così. Invece non lo sa nessuno: si azzardano solo ipotesi, come sempre (dal greco pathos, per le sofferenze patite dagli abitanti dell’antica città messapica Veretum; oppure dal nome di un tale Verduro Pato, custode di un grande granaio). In compenso si sa che i millesettecento abitanti del più piccolo comune salentino hanno un soprannome: li chiamano “musci”, ovvero gatti dalle sette vite, furbi. L’immagine di un felino che addenta un pesce, in onore di questa diceria, troneggia nello stemma civico del paese. Un po’ “muscio” sarebbe stato, secondo il giudizio storico corrente, anche un illustre cittadino di Patù, Liborio Romano. Sette vite no ma almeno tre, in politica, sì: rivoluzionario liberale negli anni Venti dell’Ottocento, poi, nello stesso anno – il 1860 - ministro dell’Interno del Regno delle Due Sicilie prima e del nascente Regno d’Italia subito dopo. La storiografia, secondo i punti di vista, lo bolla come il prototipo del trasformista meridionale oppure come l’antesignano della cooptazione della criminalità organizzata meridionale nel blocco di potere politico post-unitario. Questo perché don Liborio, principe del foro di Napoli, ritenuto legato alla Massoneria, riuscì a garantire a Giuseppe Garibaldi la benevolenza della camorra. Una figura politica interessante, utile a capire la storia dei rapporti tra il potere centrale e il Sud, ma per certi versi scomoda: l'antenato imbarazzante tra i ritratti dei "padri della Patria". L'avo rimosso. "Dimenticato", secondo Giovanni Spano, il ristoratore appassionato si storia che gestisce a Patù l’albergo-ristorante Mamma Rosa. Oltre a cucinare i suoi piatti rigorosamente ligi alla tradizione contadina salentina – dalle verze ai “ciceri e tria” – Spano ha allestito nel suo ristorante una specie di piccolo museo dedicato a Romano, con riproduzioni di testi, documenti e vignette dell’epoca. Compresa quella che ritrae “don Liborio camorrista”. “E’ una caricatura – spiega lui – e va presa come tale e contestualizzata nell’epoca. Da anni sto cercando, in tutte le biblioteche e gli archivi storici, notizie più precise su questo grande personaggio di Patù di cui finora gli storici hanno dato per lo più notizie approssimative e scopiazzate. Persino la reale data di nascita era incerta”. Lui ha definito anche questo dettaglio – la data è il 27 ottobre del 1793 – insieme ad altri e sta cercando di diffondere le sue ricerche attraverso un sito, http://www.donliborioromano.it/ , dove cerca di riabilitare la figura del politico salentino. E dove scrive, per esempio, che “è suo il merito di aver evitato alla città di Napoli, una guerra civile. La storia non ne parla e molti storici, col senno di poi, lo accusano di essere stato al sevizio di due regimi, Borbone prima e Savoia poi, e di aver raggiunto accordi con la camorra. Certamente, ma solo per salvaguardare il popolo napoletano, che ancora oggi gli riconosce il merito di aver salvato Napoli da una guerra civile”. Scava e scartabella, Spano è riuscito a catalogare 177 tra lettere e manoscritti di Liborio Romano. Ai familiari, al principe Eugenio di Savoia e al conte Cavour, alla Guardia nazionale o ai cittadini di Napoli. Un lavoro certosino che porterà alla pubblicazione di un diario. E che permetterà, secondo Spano, a “far luce sulla figura di questo grande calunniato”.
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24 agosto 2006 |