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Articolo giornalistico dedicato a Don Liborio Romano, raccolto da Giovanni Spano

Titolo: PATU' DIFENDE IL "SUO" LIBORIO ROMANO

PATU’ DIFENDE IL “SUO” LIBORIO ROMANO
RILETTURE STORICHE
Fu ministro borbonico, e poi garibaldino, accusato anche di aver inserito nella polizia di Francesco II i camorristi. Nel paese del Salento dove nacque nel 1793 è attivo un circolo culturale che ne propone la rivalutazione. (Articolo di Raffaele Mezza – su IL MATTINO DI NAPOLI – Centotrentacinque anni fa moriva a Patù, nel Salento, uno dei più discussi uomini politici del Risorgimento: Liborio Romano, ministro borbonico prima, poi “garibaldino”, quindi deputato al Parlamento italiano. Nella cittadina pugliese (dov’era nato nel 1793) è sorto un circolo culturale a lui intitolato. Tra i fondatori è Giovanni Spano, che da anni si batte perché la figura e l’opera del suo più illustre concittadino venga “riletta” dagli storici con maggiore imparzialità. I patuensi non negano affatto i suoi errori, solo vorrebbero che non fosse trascurata la memoria di un uomo il quale, comunque, subì carcere, esilio e calunnie per amor patrio. Ma da che parte stava Don Liborio ? Risponde Spano: “Alla luce del fitto epistolario e delle sue Memorie politiche, risulta evidente che fu un patriota, liberale perché perseguitato dai borbonici; e un sincero meridionalista dopo la “invasione” piemontese”. Com'è noto, tra le accuse che ancora si muovono contro di lui, due riguardano il fatto che sia stato, a brevissima distanza di tempo, ministro delle Due Sicilie e ministro “garibaldino”; e di avere cooptato i camorristi nella polizia borbonica. Ma i suoi concittadini non hanno difficoltà a confutarle entrambe: “Non dimentichiamo – osserva ancora – Giovanni Spano – che Francesco II lo nominò capo della polizia alla vigilia della sua fuga a Gaeta, quando ormai Garibaldi era alle porte di Napoli, e in città, dichiarato lo stato d'assedio, stava per scoppiare la guerra civile. Egli stesso così si difende: “Improvvisai una specie di guardia di pubblica sicurezza, frammischiai l'elemento camorrista in proporzione che, anche volendolo, non potesse nuocere (...). Questo provvedimento sconcertò i disegni dei tristi e così la città, l'ordine e le libere istituzioni furono salvi”. Camorristi, per intenderci, “quanto basta”, a mò di vaccino. E tra le prime cose che fece, rese più umane le condizioni carcerarie (egli ne aveva fatta amara esperienza nel carcere di Santa Maria Ognibene ...) vietando tra l'altro “l'uso delle legnate”. Il fatto poi che Garibaldi, fiutato il peso politico dell'uomo, lo confermasse ministro, per i patuensi torna ad onore di Don Liborio: “E' vero, ma lo fu solo per quattordici giorni, perchè si dimise quando la sua onestà e integrità morale lo posero in contrasto con gli uomini del Dittatore. Per analoghi motivi non accettò di collaborare con il luogotenente Farini ma con il suo successore Principe di Carignano, commettendo comunque – a dire del biografo Francesco Accogli - “ un gravissimo errore”, perchè presto si rese conto della “piemontizzazione” del Meridione”. (Infatti uno storico, il Criscuoli, afferma che “perfino le balie vennero dal Piemonte per il bretotrofio dell'Annunziata di Napoli, quasi che non fosse più idoneo il latte delle nostre donne ...”). Patriota o “traditore” dunque ? Liberale o voltagabbana ? Sta di fatto che, a dispetto del suo discutibile comportamento, alle elezioni del 1861 Liborio Romano fu eletto deputato al Parlamento nazionale in ben otto collegi. Né si può negare il coraggio dimostrato nel denunziare a Torino i problemi dell'annesso Meridione. Basterebbe ricordare la lettera che inviò a “Onorevolissimo Signor Conte di Cavour il 5 maggio di quell'anno, nella quale, citando le “Cinque Piaghe della Chiesa” del Rosmini, elenca dieci cause “di scontento nelle provincie meridionali d'Italia, che chiamerò le dieci piaghe delle Due Sicilie”. Questo è dunque il Liborio Romano che i patuensi vorrebbero fosse rivisto anche nei testi scolastici, e che il filosofo Giovanni Bovio, nella prefazione alle “Memorie politiche” pubblicate postume nel 1874, così cantò in epigrafe: “Ministro postremo del cadente Borbone di Napoli, additavi l'esilio al tuo re e aprivi la reggia al Dittatore inerme. Custode delle autonomie regionali e laudatore di un'Italia federata, accettavi l'Unità senza protesta, senza condizioni. E dal vecchio al nuovo Principato passavi come se due anime ti possedessero, e due leggi morali. Ma le troncate invidie di corte, la sennata incolumità pubblica e il diritto nazionale che d'una in altra metropoli cercava Roma, gridano che i peccati tuoi furono i destini della Patria”.

Articolo apparso su:
IL MATTINO DI NAPOLI - il 6 settembre 2002

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Autore: RAFFAELE MEZZA

Data di pubblicazione: 06/09/2002

Testata: IL MATTINO DI NAPOLI

 
 
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